A SANT’ANTONIO SI FA IL SALAME
Oggi siamo abituati a trovare un ricco assortimento di salumi in tutti i periodi dell’anno, ma fino a poche decine di anni fa, prima dell’avvento dei frigoriferi e dell’affermazione delle moderne lavorazioni industriali, si usava produrre il salame una volta all’anno, in un periodo ben preciso, che coincide con i giorni più freddi dell’anno. La tradizione contadina raccomanda di fare il salame il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio. E, come spesso accade, questa indicazione ha una ragione estremamente valida, fondata sull’esperienza e la memoria storica di intere generazioni.
La lavorazione della carne (macinatura, impastatura, miscelazione delle spezie, etc.) per produrre il salame richiede basse temperature e, anche una volta insaccato in budello naturale, il salame necessita di un adeguato livello di temperatura e umidità costanti per poter maturare, stagionare (da uno a due mesi) e per la formazione delle muffe nobili superficiali. Nei salumi, le muffe sono fondamentali. La loro presenza rallenta il processo di degradazione delle proteine, impedendo la putrefazione della carne, isola il salame dall’umidità esterna, senza disidratare eccessivamente l’interno e, infine, lo protegge dai microrganismi nocivi esterni che potrebbero compromettere o rovinare il processo di stagionatura. Ecco perché gennaio è il periodo migliore, con le condizioni ideali per poter gustare un ottimo salame a primavera.
Seppur in percentuali sempre più ridotte, ancora oggi “fare il salame” è un rito che resiste, soprattutto in molte zone del nord Italia.
Figura chiave è il norcino: «custode di qualità e tradizioni», non solo abile tagliatore del maiale, ma vero e proprio detentore di un patrimonio di usi e specificità locali. Oggi è una professionista altamente specializzato, capace di coniugare la valorizzazione delle tradizioni con gli alti standards di igiene e sicurezza in ambito alimentare così da garantire sempre al consumatore la massima sicurezza.